54 Festival 2025,  Promo

Pontificale di San Vigilio

GIOVEDÌ 26 GIUGNO
TRENTO – Duomo, ore 10.00
DONNERSTAG, 26. JUNI
TRIENT – Dom, 10,00 Uhr

Celebrazione del Pontificale di San Vigilio
Feier des Pontifikalamtes des Heiligen Vigilius
CAPPELLA MUSICALE DEL DUOMO DI TRENTO

Violini:  Nadia Carli, Leonardo Ferrari (I)
Michael Isaac Girardi, Valentina Domeniconi (II)
Viola:  Oscar Grassi
Violoncello:  Giovanna Trentini
Contrabbasso:  Teresa Lever

Corni:  Massimo Simoncelli (I), Riccardo Briosi (II)
Trombe:  Daniele Grott (I), Mario Olzer (II)
Timpani:  Stefanny Gamboa

Organo:  Carlos Concha

Direttore:  Paolo Delama

Programma | Programm

Christopher Tambling (1964 – 2015)
Messa in G (2013)

Robert Jones (1945)
Jubilate Deo

Paolo Delama (1967)
Sonata da chiesa “alla Mozart”

 

La Cappella Musicale del Duomo di Trento

I parallelismi tra passato e presente sono assai insidiosi e rischiano di divenire fuorvianti se non interpretati con la giusta prospettiva storica. È però vero che la storia è maestra di vita e dalle lezioni del passato si possono – e si devono – trarre insegnamenti che possono tornare utili per fare fronte alle esigenze del presente. Diamo dunque inizio a questa affascinante danza tra passato e presente, con la cautela di chi cerca qualcosa da imparare. Che Trento fosse una città crocevia di culture è storia nota: anche una istituzione così particolare e ristretta come la Cappella Musicale della Cattedrale – per Cappella musicale si intende il coro, l’organo e, talvolta, l’orchestra – ne è testimone. I celebri sette codici conservati al Castello del Buonconsiglio – che rappresentano la più grande collezione al mondo di polifonia quattrocentesca – testimoniano da soli la sua antica storia e sono una traccia indelebile della centralità culturale della Trento rinascimentale. Ma è solo a partire dal Settecento che un musicista locale viene ammesso alla sua direzione: fino a tutto il Seicento una mescolanza di personalità artistiche di varia provenienza si era avvicendata nella direzione della Cappella. La gestione dell’attività musicale all’interno del Duomo era appannaggio del Capitolo della cattedrale sin dal 1636, ma, tramontato il periodo aureo del grande Concilio, epoca del mecenatismo dei Principi Vescovi cinquecenteschi che avevano portato a Trento i più illustri polifonisti si verificò un crollo nella qualità delle esecuzioni a causa delle scarse risorse finanziarie destinate alla Cappella, un evento che coincise con la decadenza dei Madruzzo. E qui un primo, fondamentale insegnamento per l’oggi: la qualità della musica sacra di chiesa, che segna la ricchezza e la profondità della preghiera cristiana non è un inutile e vezzoso spreco di risorse: è un investimento. Non necessariamente – o quantomeno, non solo – di risorse economiche, ben inteso: si parla di risorse umane, di idee, di volontà, di bellezza. Senza un investimento sull’arte – come bibbia per la preghiera di tutti – non esisterebbero capolavori come la Cappella Sistina o gli affreschi di Giotto e nemmeno gran parte delle composizioni di Bach. Ma procediamo. Il repertorio nel XVII secolo è segnato dall’ingresso degli archi che si affermano in assetto orchestrale lungo tutto il Settecento e parte dell’Ottocento. L’uso degli strumenti nelle chiese (non solo nel Duomo ma anche in S. Maria Maggiore) era diffuso ma in forme più modeste rispetto alla tradizione roveretana a causa della ristrettezza delle cantorie. Il 1636 fu l’anno della svolta: da questo momento in poi, infatti, a Trento si susseguirono una varietà di maestri di diversa provenienza, dal veronese Simone Martinelli, al cremonese Giovanni Battista Villa da Casalbuttano, cui succedette il bresciano Pietro Agliardi (1686-1710), ma fu il sacerdote Carlo Antonio Prati (1691-1749) il primo trentino a occupare il prestigioso incarico di maestro di cappella. Il mondo musicale veneto – le città di Padova, Verona e Venezia – fu il retroterra culturale dove si formarono anche i successivi maestri di Cappella trentini come Battista Runcher (1714-1791), Francesco Antonio Berera ecc. Ancora nel Settecento nella Cattedrale agivano i due organismi secolari: il coro dei Beneficiati (che si occupava dell’ufficio cantato in gregoriano) con a capo due Mansionari (uno italiano e uno tedesco), e la cappella musicale composta da un quartetto vocale a voci miste (soprano, contralto, tenore e basso) e da un quartetto d’archi, con a capo il Maestro di Cappella che aveva anche l’incarico di organista nella basilica di Santa Maria Maggiore. Non si esibiva tutte le domeniche ma solennizzava alcune celebrazioni dell’anno liturgiche, anche per le ricorrenze civili, come, ad esempio, il compleanno dell’Imperatore. Ma arriviamo al momento storico che forse ha maggiori affinità con il presente. All’inizio del XIX secolo le invasioni napoleoniche e le riforme che colpirono il clero, costrinsero il Capitolo a ridimensionare notevolmente le risorse economiche destinate alla musica sacra. Le Chiese e i monasteri erano privati dell’essenziale e gli ordini monastici soppressi: mantenere un’orchestra non era certo una priorità. Ma se ne avvertiva la mancanza: non dimentichiamo quanto fosse diversa la liturgia rispetto a quella odierna! La possibilità di partecipazione del popolo era ridotta ai minimi, se non del tutto assente: la musica era, forse, l’unica maniera per sentirsi partecipi del mistero divino e per coltivare la preghiera personale. Era necessario dunque salvaguardare la musica sacra in Cattedrale: le celebrazioni con la cappella musicale resistettero grazie a una fruttuosa collaborazione tra strumentisti del Capitolo, banda civica (nata dalla guardia civica nel 1801) e orchestrali della Accademia Filarmonica (nata nel 1795); una comunione di sforzi che permise di mantenere una certa solennità nelle maggiori celebrazioni dell’anno liturgico. E quale solennità! L’ingresso progressivo di musicisti laici operanti nel mondo delle bande e del teatro favorì anche un cambiamento stilistico delle musiche eseguite in duomo, tanto che Vescovo e Capitolo si lamentarono più volte di quanto fosse “strepitosa” – nel senso di “molto rumorosa” – la musica liturgica.

Oggi la Cappella rinasce con presupposti simili: creare delle collaborazioni esterne, con musicisti professionisti – chi insegnante, chi professore d’orchestra, chi studente – sulla base di un progetto comune – alcune celebrazioni all’anno – e ben coordinato. Senza voler fare dello “strepito”, naturalmente. Torniamo alla nostra storia e avviciniamoci ai nostri giorni: nel 1894 don Riccardo Felini fu incaricato di dirigere il coro della Cattedrale, un coro composto di laici e chierici del Seminario maggiore e da una sezione di voci bianche per la quale venivano incaricati i piccoli studenti del seminario minore e delle scuole cittadine. Ma il vento era cambiato: in Europa da qualche decennio si era diffuso il movimento ceciliano che aveva lo scopo di ridimensionare quella musica “strepitosa” che si era impadronita della liturgia per riportarla a una dimensione più adatta alla preghiera, ponendo le proprie basi sulla polifonia rinascimentale a cappella (senza accompagnamento) e sul canto gregoriano. Questa data segna anche la fine nella Cappella Musicale della presenza dell’orchestra: strumenti troppo affini al mondo del teatro e della sinfonia non trovavano posto nella nuova ideologia ceciliana; accanto al coro rimasero sempre gli organisti Attilio Bormioli, poi don Sisinio Bezzi, poi Stefano Rattini… Nel 1925 mons. Celestino Eccher, l’ultimo a fregiarsi del titolo di “direttore della Cappella musicale”, costituì un coro di sole voci maschili formato unicamente dagli studenti di teologia che istruiva durante le ore di scuola. L’incarico del coro della Cattedrale divenne più oneroso rispetto al passato: se fino a questo momento al canto corale erano affidate le parti fisse della messa (il cosiddetto Ordinario: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Agnus Dei e i salmi dei vespri), ora si faceva carico di tutte le parti variabili. E tutte le domeniche. Con la crisi di vocazioni avvenuta attorno agli Anni Sessanta si assiste anche a un progressivo declino del coro della cattedrale: in effetti il servizio liturgico in Cattedrale era diventato una prerogativa esclusivamente clericale. La riforma liturgica del Concilio Vaticano II fece il resto: l’esigenza della partecipazione assembleare – con il conseguente abbandono della lingua latina e del repertorio gregoriano – rappresentò un momento di forte crisi per tutta la Diocesi. Un momento di grande riflessione di cui si fece carico Mons. Alberto Carotta che mise in atto diverse strategie per cercare di conciliare le nuove direttive liturgiche con le esigenze celebrative, salvaguardando la dignità e la ricchezza del canto cristiano affinché la liturgia non risultasse povera e scarna. In tutta la Diocesi, dopo il Concilio, si era assistita a una vera e propria fuga di coristi, da un lato delusi dalle interpretazioni di alcuni parroci che avevano letteralmente sfrattato i cori polifonici dalla liturgia, dall’altro attratti dai cori di montagna e popolari che offrivano un’alternativa allettante e gratificante. Fu così che il 12 febbraio 1982 don Alberto appellandosi alla buona volontà dei fedeli in Cattedrale ricreò su nuove fondamenta il coro della Cattedrale per il servizio domenicale. Con una novità importante: le donne, finalmente ammesse al servizio del canto in chiesa. E così dalla Pasqua 2022, rinasce la Cappella Musicale: dopo più di 120 anni di silenzio la liturgia torna ad arricchirsi di un accompagnamento che, guardando alla storia, risulta quasi naturale. Almeno per qualche domenica all’anno. Questo sì che è strepitoso!

Cecilia Delama