FESTIVAL DI MUSICA SACRA

UNA RASSEGNA CONCERTISTICA APERTA AL MOLTEPLICE
di Antonio Carlini

Premessa
La fondazione
L’organizzazione
La storia artistica
Il Festival e il territorio

Premessa
Un salmo ebraico pre-cristiano, una preghiera espressa con la voce da un musulmano, un Kyrie scritto da Palestrina, da Beethoven o da Verdi, un gruppo di fedeli africani, un’antifona musicata da un compositore russo o sud-americano per strumenti elettronici: espressioni variegate di una sensibilità verso il sacro, ricorrenza dell’essenza umana in qualsiasi epoca e a qualunque latitudine, capace di lasciare traccia concreta negli ambiti dell’operatività artistica, non solo musicale ma anche poetica o figurativa, in rapporto inversamente proporzionale all’inafferrabilità metafisica dei suoi contenuti.
Alla ricerca di una dimensione “corporea” dello spirito, dunque, si può intendere l’immensa produzione musicale sacra, alla cui riproposizione si dedica il Festival di Musica Sacra, presente in Trentino-Alto Adige dal 1972. Nei fatti, una rassegna concertistica che però, proprio per la particolarità del suo oggetto, si presta a molteplici percorsi fruitivi, dalla riflessione personale al puro godimento estetico, dalla partecipazione religiosa a quella semplicemente conoscitiva.
Nella coscienza di questa apertura al molteplice, il Festival ha adottato una formula di programmazione artistica, sempre seguita, aperta ai tempi della storia (dal canto liturgico dei primi cristiani alla musica elettronica), ai luoghi della geografia (dai cori georgiani agli organisti americani), alle varie espressioni cristiane (liturgie ortodosse, cattoliche o luterane), agli stili e forme della musica (dal Medioevo alle Avanguardie al jazz, dalle immense orchestre post-romantiche ai piccoli assiemi rinascimentali).
Rigorosa rimane sempre la collocazione dei concerti nei luoghi già scelti dagli architetti per la loro “aura” sacrale: le chiese, perle di architettura locale e testimonianze lontane di una fede solidamente distribuita sul territorio trentino-atesino. Un territorio rispettato nella sua peculiarità geografica di Regione autonoma, articolando in modo paritetico le manifestazioni fra le due Province di Bolzano e Trento, di lingua e tradizione spesso diverse, ma volte alla ricerca di una fruttuosa convivenza. Così tutti i materiali pubblicitari sono stampati nelle due lingue, italiano e tedesco, e uguale attenzione viene riservata alle valli di cultura ladina.
L’ultima considerazione è rivolta alla gestione del calendario, non solo affidato, nella sua realizzazione, a complessi e gruppi corali stranieri o esterni, ma significativamente anche ad artisti locali, chiamati a impegnarsi ogni anno in produzioni capaci di stimolare allo studio, al perfezionamento, al raffinamento delle tecniche esecutive.

La fondazione
Con un concerto nella Collegiata di Arco, venerdì 19 maggio 1972 prendeva il via la 1a edizione del Festival di Musica Sacra promosso nella regione Trentino-Alto Adige. Protagonisti di quella ormai lontana serata furono l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento diretta da Ettore Gracis e il Coro dell’Istituto musicale “Vincenzo Gianferrari” di Trento, preparato da Iris Niccolini; Luciana Fattori e Marylin Turner erano i due soprani solisti.
In programma, quale inno propiziatorio, figurava fra altre pagine settecentesche il Gloria di Vivaldi. Il concerto veniva replicato nei giorni immediatamente seguenti a Levico e Bolzano. Un’apertura significativa, capace di riassumere e consegnare al futuro un’operatività fruttuosa e sempre osservata: il coinvolgimento diretto dell’istituzione concertistica professionale più prestigiosa della regione (l’Orchestra Haydn, con sede a Bolzano), un coro amatoriale capace di esprimersi ad alto livello interpretativo (il “Gianferrari”, con sede a Trento), professionisti del concertismo internazionale (Gracis, Turner e Fattori), la collocazione delle produzioni nelle due province, al centro come nelle valli, nel mese di maggio. La nascita del Festival è stata più volte richiamata da uno dei diretti protagonisti, il Maestro Andrea Mascagni. Da pochi anni nella regione era stata fondata l’Orchestra Haydn (1960) che però, con i contributi raccolti fra Ministero ed enti locali, poteva lavorare solo alcuni mesi all’anno. Fu lo stesso Direttore generale del Ministero competente in materia di Spettacolo, invitato a Bolzano a esaminare le possibilità di sviluppo dell’Orchestra, a consigliare ai vertici della Haydn un’iniziativa particolare, capace di incrementare l’attività della compagine strumentale. Solo così, infatti, si sarebbe potuto accedere ad altre risorse statali, prolungando l’attività non ancora annuale degli orchestrali.
Scartata subito l’idea di una stagione lirica, per l’inadeguata situazione logistica dei teatri regionali, il Maestro Mascagni si orientò verso un festival di Musica Sacra, capace di valorizzare il patrimonio corale e organistico delle due Diocesi e, soprattutto, l’immenso repertorio creativo che una liturgia, allora in profonda e rapida trasformazione, rischiava di far dimenticare.
Così radicato nella vita culturale del territorio, il Festival rientrava anche negli obiettivi politici delle due Province, come si legge in una dichiarazione del luglio 1972: «1. Stabilire contatti con vasti strati di pubblico, che altrimenti non verrebbero, se non in modesta misura, richiamati alla musica; 2. contribuire ad una maggiore valorizzazione (dell’antica ed eccellente tradizione corale operante in regione) con la prospettiva anche di un accostamento da parte di questi complessi corali alla musica sacra moderna; 3. realizzare implicitamente un vasto incontro di forze culturali ed artistiche, concorrendo a creare un movimento di opinione più aperto all’integrazione dei diversi momenti della cultura, oggi ancor troppo separati e chiusi in ambiti ristretti» (da Il Trentino, n. 41-42, luglio-agosto 1972, p. 68).

L’organizzazione
Riconosciuti i vantaggi culturali ed economici provenienti dall’attivazione di un festival a cadenza annuale, fu trovata velocemente anche la formula organizzativa, con la costituzione di un’Associazione autonoma dal carattere regionale, sostenuta pariteticamente dalle Province e dai Comuni di Bolzano e Trento. Positiva fu anche la risposta del Ministero competente a Roma, che assicurò subito un significativo contributo economico da sommarsi agli interventi omogenei degli enti fondatori locali.
Il 29 marzo 1973 a Bolzano, nello studio del notaio Aldo Santoni, i soci Remo Ferretti (in rappresentanza del Comune di Bolzano), Hermann Terzer (in rappresentanza della Provincia di Bolzano), Giuseppe Grassi (per il Comune di Trento) e Claudio Chiasera (per la Provincia di Trento) sottoscrivevano l’Atto costitutivo dell’Associazione “Festival di Musica Sacra”, con domicilio in Bolzano e Trento e sede legale a Bolzano. Il giorno stesso, quale primo Presidente dell’Associazione veniva nominato Remo Ferretti, allora assessore al Comune di Bolzano.
Il raggio d’azione della neo istituita Associazione culturale era precisato dal secondo articolo dello Statuto: «Scopo dell’Associazione è quello di organizzare annualmente un festival di Musica Sacra per la presentazione ai pubblici di diversi centri delle due Province concerti ed esecuzioni di musica sinfonica, sinfonico-vocale, corale, organistica, cameristica, avente attinenza al sentimento religioso e ai valori spirituali nella creazione musicale». Una dichiarazione ampia e generica, che acquisiva concretezza politica nel paragrafo immediatamente seguente: «Scopo più particolare è quello di valorizzare i cori polifonici che svolgono attività nelle Province di Bolzano e Trento». Organi dell’Associazione erano «L’Assemblea generale, il Presidente, la Commissione tecnico-artistica» (Art. 4). L’Assemblea generale, costituita dai soci fondatori, poteva ammettere al proprio interno altri soci, rispettando però la pariteticità nella rappresentanza delle due Province. Così l’Assemblea si irrobustiva quasi subito, accogliendo nuovi membri. La 5a edizione del Festival, nel settembre-ottobre 1976, era presentata dal Presidente Guido Lorenzi e dai soci Rinaldo Fauri, Marcello Ferrari, Remo Ferretti, Giuseppe Grassi ed Hermann Terzer; la 10a edizione, nel 1981 era firmata dal Presidente Luigi Valentini e dai soci Hanns Egger, Giuseppe Bernardi, Marcello Ferrari, Remo Ferretti, Bruno Mezzena, Dario Segatta ed Hermann Terzer; la 20a edizione, nel 1991, vedeva il Presidente Giovanni Ondertoller affiancato da Hanns Egger, Antonio Carlini, Tarcisio Grandi, Remo Ferretti, Paolo Fontana, Tarcisio Chini, Dario Segatta, Hermann Terzer, Elettra Vassallo, Franz von Walther e Romano Santi. Nel 2011, per la 40° edizione con alla presidenza Paolo Delama, i soci salivano a sedici: Aldo Boninsegna, Hanns Egger, Remo Ferretti, Renzo Pacher, Sandro Repetto, Stefan Trebo, Anton von Walther e Franz von Walther per Bolzano, Luigi Azzolini, Danilo Curti, Carlo Curzel, Paolo Delama, Massimo Franceschini, Mariano Giordani, Marco Gozzi e Davide Lorenzato per Trento. Proprio in considerazione dell’allargamento dell’Assemblea, nel 2002 veniva approvata una modifica allo Statuto che introduceva, fra gli organi dell’Associazione, un comitato esecutivo «composto da 4 membri eletti in modo paritetico tra i soci delle Province di Bolzano e di Trento» e in carica per due anni (Art. 4).

La storia artistica
La programmazione artistica del Festival regionale di Musica Sacra non ha mai perso di vista i presupposti fondativi della manifestazione, la cui attualità viene confermata dall’interesse costante tributato da pubblico e critica. La particolare combinazione fra produzione (verso l’Orchestra Haydn e i complessi corali e strumentali) e promozione (verso il repertorio legato all’ispirazione religiosa e il patrimonio organario regionale) doveva infatti rivelarsi ricca di stimoli continuamente aggiornabili in entrambe le direzioni, favorendo un sistema sempre più complesso di collaborazioni con l’effervescente mondo delle realtà locali. La scelta di campo, complice l’inesauribilità delle fonti, consentiva continui approfondimenti, stimolando il confronto qualitativo sul piano dell’interpretazione esecutiva, incentivando l’attenzione ai manufatti strumentali collocati nel luogo deputato del Festival, la chiesa.
Tenendo presenti tali indirizzi generali, il Festival iniziava nel 1972 la sua azione culturale, formativa e propositiva sia verso il pubblico che verso i musicisti. Attingendo ad un immenso repertorio, spesso noto solo attraverso citazioni bibliografiche, il Festival portava in regione per la prima volta i grandi capolavori. Nel maggio del 1972 con l’Orchestra Haydn e il Coro di Nova Ponente venne eseguito il Paulus, oratorio di Mendelssohn; nel 1974 la Messa in mi minore di Anton Bruckner con il Coro Lechner di Bolzano; nel 1974 era la volta del Messia di Händel con il Wiener Kammerchor che l’anno successivo propose la Passione secondo S. Matteo di J.S. Bach (la Johannes-Passion verrà eseguita nel 1991 con il The Bach-Ensemble di New York diretto da Rifkin); nel 1976 era la volta di una importante partitura del Novecento, Le Roi David di Honegger concertato da Othmar Trenner; nel 1980 tornava Mendelssohn con il secondo oratorio, l’Elias; nel 1982 il Coro dell’Arena di Verona proponeva la Petite Messe Solennelle di Rossini e l’anno successivo l’Orchestra Haydn sosteneva lo Psalmus Hungaricus di Kodaly; il celebre Requiem KV 626 di Mozart figurava nel calendario 1984 con il Berliner Konzert-Choir, mentre il Bach-Collegium Stuttgart ricordava i 300 anni di nascita di Johann Sebastian con la Messa in si minore. La formula artistica programmatoria del Festival veniva ripensata nel 1992 e quindi condotta sino al presente. Ad essere ora privilegiato è un percorso per capitoli, con la scelta di un tema monografico (geografico, biografico, storico o stilistico), in modo da costruire l’immagine, la sigla “memorabile” di ciascuna edizione: il 1992 fu l’anno della Francia, con un nutrito gruppo di appuntamenti riservati alla letteratura dell’Otto-Novecento. Autori come Duruflé, Fauré, Poulenc, Satie, Langlais, Messiaen, Franck, Widor servirono a illustrare, sia pur con le ovvie differenze generazionali e individuali, un modo d’intendere il sacro e un mondo musicale significativamente segnato dalla predilezione per il colore, per il melodismo raffinato, per l’esotismo mistico-modale. Nell’edizione successiva, quella del 1993, non venne persa l’opportunità per ricordare, affiancando analoghe iniziative a livello europeo, il nome di Claudio Monteverdi in occasione del 350° anniversario della morte. La pagina sacra forse più famosa del cremonese, ovvero il Vespro della Beata Vergine, nella prestigiosa interpretazione della Rheinische Kantorei, unita alla Musica Fiata per la direzione di Hermann Max, fu corredata da altri concerti dedicati alla produzione mottettistica e a una meno conosciuta messa a cappella (la Missa in festis Beatae Mariae Virginis) in cui, alternando all’organo episodi del contemporaneo Frescobaldi, l’ensemble vocale dell’Accademia Filarmonica di Bologna Vox Esperia ricostruiva la presumibile “colonna sonora” del rito liturgico secentesco.
L’affascinante tematica del rito religioso e delle relative musiche accompagnatorie assunse colori orientali nel 1994, quando la parentesi monografica del Festival prese in considerazione la musica liturgica della cultura slavo-bizantina, colta sia nella dimensione strettamente rituale, con una celebrazione della Divina Liturgia secondo la tradizione di S. Giovanni Crisostomo, sia nella stilizzazione artistica di Caikovski, Rachmaninov, Gretschaninov e Dvoràk. Fu l’occasione per confrontarsi con un gesto celebrativo d’intensa spiritualità, con una tradizione volutamente conservata attraverso il tempo nella cifra distintiva d’un canto rigorosamente vocale, sprofondante in vertiginosi bordoni e serpeggiante nel linguaggio melismatico della melodia. Fu anche il movente per portare in Italia per la prima volta complessi corali come il Coro Syrin di Mosca a fianco del più noto Coro da Camera proveniente dalla stessa capitale russa e diretto da Vladimir Minin, di questa tradizione eccellente portavoce. L’attenzione verso tradizioni culturalmente “lontane” sarà coltivata, seppur sporadicamente, anche negli anni successivi: nel 2004, ad esempio, una suggestione profonda suscitò la proposta della Missa Mexicana da parte del The Harp Consort, diretto dal celebre arpista Andrew Lawrence-King.
Ritorno nell’alveo occidentale per il 1995, caratterizzato dal recupero di alcune rare pagine del ricco quotidiano vocale-strumentale Sei-Settecentesco, spesso, a torto, riassunto nella pratica esecutiva dalla frequentazione assidua dei soli capolavori bachiani: prima esecuzione moderna per l’oratorio veneziano La morte del cor penitente di Giovanni Legrenzi (1626-1690), con interpreti i Sonatori de la Gioiosa Marca, rivelatosi partitura d’intensa emozionalità nella sublimazione spirituale dei modi affettuosi del teatro musicale e prima esecuzione anche per due salmi di Baldassarre Galuppi (Laudate pueri e Confitebor, diretti da Roberto Gini), brillante esempio d’una vocalità ormai motivata dalle movenze strumentali dello stile concertante. Ancora un preziosismo con il Gloria e il Dies Irae di Francesco Antonio Vallotti, che fecero conoscere tra l’altro l’Orchestra Barocca di Bologna, per giungere all’edizione 1996, con in prima pagina la produzione sacra di Anton Bruckner e Maurice Duruflé. Senza ripercorrere cronologicamente tutte le stagioni, l’attenzione riservata a un autore o a un periodo storico si è distribuita nel corso degli anni sino a raggiungere l’ultima edizione nel 2012, caratterizzata da un ampio spazio per la musica di Händel, di cui si proponevano l’Oratorio Israele in Egitto, formidabile partitura concertata da Nicholas McGegan per l’esecuzione del Coro Collegium Ghisleri e dell’ensemble strumentale Cappella Savaria, con grande attenzione all’esaltazione degli elementi descrittivi, i Concerti per organo e orchestra dell’op. VI, in una innovativa – soprattutto per la ricostruzione del gusto improvvisativo – e commovente – per l’attenzione tutta italiana all’espansione affettiva – lettura di Lorenzo Ghielmi con il gruppo La Divina Armonia, l’Ode a S. Cecilia con l’Orchestra Barocca Archicembalo Ensemble e il Coro Andrea Palladio diretti da Enrico Zanovello, in una esecuzione che si distingueva per l’accuratezza degli equilibri e delle sfumature dinamiche. Accanto al criterio monografico, la programmazione del Festival non ha mai trascurato un percorso antologico, in modo da consentire la visione del totale storico, sia riprendendo pagine note, sia approfittando di proposte particolari. Nel primo caso, la riproposta del repertorio si è sempre arricchita nel segno di un interesse esecutivo: basti ricordare l’invito al Thomanerchor di Lipsia per i Mottetti di Johann Sebastian Bach (21a edizione del Festival), coro storicamente protagonista della prima esecuzione settecentesca. Nel secondo possiamo richiamare partiture come l’oratorio Auferstehung und Himmelfahrt di Carl Philipp Emanuel Bach (21a edizione), il Christi mysterium presentato dalla Nova Schola Gregoriana guidata da Alberto Turco (22a edizione), oppure il Cherubini del Requiem in do min (21a edizione), tra l’altro confluito in una registrazione discografica curata dallo stesso Festival.
Una particolare attenzione alla documentazione sonora (soprattutto a opera della sede RAI di Bolzano) è stata sempre riservata al settore della musica contemporanea, presente in modo continuativo nei cartelloni e “sponsorizzata” dal Festival stesso attraverso singole commissioni ad artisti regionali (F. Valdambrini, H. Grassi, F. Brazzo, E. Demetz, M. Bazzoli, R. Lucchi) e nazionali (N. Castiglioni, P. Molino).
Dal ventesimo secolo sono giunte anche proposte particolari come i Chichester Psalms di L. Bernstein (23a edizione), il Rattenberger Pfingstoratorium di K. Rapf (22a edizione), Im Anfang di G. Bialas (24 a edizione), il Requiem di J. Rutter (25 a edizione), la Messa di G.C. Ballola (25 a edizione) e nel capitolo contemporaneo un vero e proprio evento speciale come l’allestimento del Liverpool Oratorio di Paul Mc Cartney e Carl Davis, sottratto a Firenze per una prima esecuzione italiana.
Il Festival non ha mancato di riservare sistematicamente uno spazio a una consuetudine radicata nell’Alto Adige, rappresentata dall’uso di musica artistica nella liturgia, chiamando complessi sempre diversi in accompagnamento alle celebrazioni trasmesse poi in diretta dalla RAI di Bolzano. Ultimo capitolo sempre osservato, l’attenzione al mondo organistico, attraverso l’invito annuale a un Meisterorgel – Giancarlo Parodi (1° Festival), Gaston Litaize (14° Festival), Olivier Latry (21° Festival), Michel Radulescu (3°, 22° Festival), Gunther Kaunzinger (23° Festival), Francesco Finotti (24° Festival), Daniel Roth (25° Festival), Andrea Marcon (21° Festival) – sollecitando il restauro di strumenti poi inaugurati da organisti locali o dando ai giovani neodiplomati della regione la possibilità d’esibirsi per la prima volta in un Festival internazionale.

Il Festival e il territorio
Nato per il territorio, il Festival vive delle sue risorse artistiche: innumerevoli sono stati gli strumentisti, i cantanti, i complessi corali, i direttori e gli organisti presenti nelle locandine della manifestazione, a significare un rapporto imprescindibile e indissolubile. Una relazione consolidata ma non statica, che nel corso degli anni ha sempre cercato di rinnovarsi nel segno di un porsi attivo, peraltro non senza incontrare resistenze e criticità. La strategia del Festival, accanto all’offerta di un palcoscenico e all’azione stimolante verso la costruzione di programmi musicali sacri, ha voluto e vuole sollecitare percorsi di integrazione tra risorse artistiche locali e forze professionali esterne, nella convinzione di contribuire così al confronto e alla crescita dei musicisti conterranei.
La dimensione del Festival pone tuttavia in rilievo la diversità dei due territori provinciali, a svantaggio del Trentino.
L’area atesina, infatti, presenta una tradizione ben più consolidata nel settore della musica sacra, dalla quotidianità di liturgie allestite da cori parrocchiali capaci di eseguire il repertorio sinfonico-vocale classico (le varie messe di Schubert, Mozart, Haydn) alla presenza di rassegne specificamente dedicate, come a Merano o Bressanone e in tutta la val Venosta; una situazione produttiva di maggior sensibilità anche a livello di risorse economiche, con enti e istituzioni più favorevoli a investire nella cultura della musica sacra e la presenza di almeno una decina di centri di riferimento per la collocazione degli appuntamenti concertistici da Silandro a Campo Tures, da Laives a Chiusa. In Trentino invece l’attività è rimasta per anni concentrata sulla città di Trento, con puntate a Borgo Valsugana o Riva del Garda, ma con l’esclusione ad esempio di Rovereto, mentre in questi ultimi tempi si sono realizzate collaborazioni importanti in luoghi decentrati: il Festival infatti ha risposto molto volentieri alle richieste di comuni più piccoli, evidentemente in difficoltà, sia economiche che organizzative, se costretti ad agire da soli, attivando positive collaborazioni.
Eventi
Volendo individuare nel vastissimo calendario di appuntamenti proposti dal Festival, alcuni eventi superlativi, sopra tutto e sopra tutti non si può non considerare Officium, l’abbinata discograficamente vincente negli anni Novanta dell’Hilliard Ensemble con la loro polifonia perfetta e il magico sax di Jan Garbarek, chiamati dalla rassegna regionale a far risuonare le antiche navate del Duomo di Bressanone e della Chiesa di San Francesco Saverio a Trento; era il 2009, precisamente il 28 e 29 maggio e l’atmosfera registrata fu quella di un evento leggendario, segnato dalla partecipazione di un pubblico foltissimo, assorto nella contemplazione di un mito, per la prima volta a portata d’occhi e orecchie. L’emozione di un ascolto che in molti, considerato il successo planetario del cd, avevano sino a quel punto provato esclusivamente attraverso la riproduzione tecnica, si intensificava nell’esperienza dal vivo, capace di moltiplicare l’effetto contrastante tra la vocalità ipnoticamente rituale targata Hilliard e lo struggente calore del sax di Garbarek, ritornati dall’acustica generosa delle due chiese regionali, sfruttata pure in senso teatrale grazie agli spostamenti degli interpreti lungo le navate, offrendo al pubblico cangianti prospettive spaziali del suono. Lo spazio architettonico era già stato protagonista di un altro evento eccezionale, organizzato nel dicembre del 2003, nella chiesa lodroniana di Villa Lagarina e ripetuto nella Cattedrale di Trento. Il Festival di Musica Sacra partecipava al complesso delle celebrazioni in onore del Principe vescovo di Salisburgo, ma nativo di Villa Lagarina, Paride Lodron (1586-1653). Tali festeggiamenti offrivano l’opportunità di allestire la prima esecuzione italiana della Missa salisburgensis, vale a dire la partitura più grande mai scritta nella storia della musica sino al classicismo: 54 voci, un numero imponente di strumentisti e cantori collocati in otto posti diversi, una tessitura sonora sontuosa e affascinante, che il Festival si premurò di registrare in un cd, poi distribuito in tutto il Paese attraverso la rivista “Amadeus”.
L’anno successivo, per la 33a edizione del Festival, il capitolo “eventi speciali” si arricchiva, a Trento, di una memorabile liturgia nella Basilica principale della città: una messa solenne officiata dall’allora Cardinale Joseph Ratzinger, protagonista con altri dodici sacerdoti, guidati dall’Arcivescovo Monsignor Luigi Bressan, di una celebrazione circondata musicalmente dai piccoli (ma straordinari) cantori del Regensburger Domspatzen (i famosi “passerotti” di Ratisbona). Fu la musica a condurre a Trento l’oggi Vescovo di Roma Joseph Ratzinger, in una circostanza voluta e costruita dal Festival regionale di Musica Sacra, raccogliendo la coincidenza familiare del compleanno di Georg Ratzinger, fratello di Papa Benedetto XVI e Direttore del millenario coro di Ratisbona, nonché le amicizie “trentine” dei fratelli Ratzinger – per il tramite di Siegfried Gmeinwieser (già docente all’Università di Ratisbona) – con il musicologo don Lorenzo Feininger.
Della solennità del rito, delle parole profonde proposte dal Cardinale nell’omelia, si occuparono naturalmente le cronache giornalistiche, considerando quanto i trentini avessero avvertito l’eccezionalità dell’iniziativa, affollando in massa l’aula del Duomo. Gli incensi e gli inchini, le processioni e i gesti, lenti, calmi, misurati, eterni, ritornavano una dimensione estetica della religione tutt’altro che formale, anzi intensamente spirituale e dunque simbolica, dimenticata nell’ordinarietà delle celebrazioni quotidiane. In un simile contesto il levarsi, dal coro celato dietro l’altare, delle voci purissime, dal timbro straordinariamente omogeneo, dei Regensburger Domspatzen, impegnati tra l’altro nell’esecuzione di una Messa dello stesso Georg Ratzinger, restituiva alla polifonia l’efficacia simbolica di un divino ordine superiore. Ripensando infine alla vocazione primaria del Festival ad accogliere progetti incentivanti per il territorio e indirizzati nel contempo a far rivivere la musica importante all’interno della liturgia, si può segnalare la collaborazione del Festival con le Scuole musicali trentine, attivata per la prima volta nel 2000, in occasione del Giubileo, con la realizzazione di una prima liturgia, in cui le parti dell’ordinario venivano realizzate attingendo ad una Messa di Antonio Salieri (di cui, tra l’altro, ricorreva l’anniversario) con coro e orchestra formati per l’occasione dai giovani allievi di nove scuole musicali (150 ragazzi provenienti da tutto il Trentino), mentre l’Istituto Diocesano di Musica Sacra offriva supporto per le parti musicali del proprio. Dopo quella edizione giubilare, l’iniziativa ebbe una cadenza praticamente annuale, dimostrando la propria vivacità con la scelta di volta in volta di partiture diverse, classiche (messe di Haydn e Mozart, ma anche del roveretano Giacomo Gotifredo Ferrari), ma anche contemporanee (e fu il Festival a commissionare due messe per ragazzi a due giovani compositori come il trentino Eddy Serafini e il bresciano Paolo Ugoletti), intessendo rapporti con altre situazioni didattiche e approfittando della natura itinerante del Festival per far circuitare le singole produzioni.