JUBILÄUMSKONZERT – CONCERTO PER L’ANNIVERSARIO
Domenica, 24 ottobre 2021, Trento, Chiesa S. Francesco Saverio – ore 20.30 | Samstag, 23. Oktober, Brixen, Dom, 20.00 Uhr |
Entrata con green pass
→ A TRENTO PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA
JUBILÄUMSKONZERT – 30 JAHRE VOCALART BRIXEN
CONCERTO PER L’ANNIVERSARIO – 30 ANNI VOCALART BRIXEN
soprano, Helene Grabitzky, Sopran
contralto, Laura Kießkalt, Alt
tenore, Benedikt Heggemann, Tenor
basso, Michael Feichter, Bass
Ensemble VocalArt Brixen
Cappella Claudiana
direttore, Marian Polin, Leitung
Programma/Programm:
Joseph Haydn (1732-1809) – Missa in Angustiis d-Moll Hob XXII:11 “Nelsonmesse (1798)
Kyrie
Kyrie eleison
Gloria
Gloria in excelsis Deo
Qui tollis
Quoniam tu solus Sanctus
Credo
Credo in unum Deum
Et incarnatus est / Crucifixus
Et resurrexit
Sanctus
Sanctus
Benedictus
Agnus Dei
Agnus Dei
Dona nobis pacem
Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) – Sonata da chiesa in-magg. KV 278
Joseph Haydn – Te Deum “für die Kaiserin Marie-Therese” C-Dur Hob XXIIIc:2
Te Deum laudamus (Allegro)
Te ergo quaesumus (Adagio)
Aeterna fac cum Sanctis tuis / In te Domine speravi (Allegro moderato)
Joseph Haydn: Missa in angustiis in re min. Hob. XXII: 11 (Nelson-Messe)
Terza del gruppo delle sei messe composte da Haydn fra il 1796 e il 1802 su commissione del principe Nicolaus II Esterhàzy, destinate a celebrare ogni anno il giorno onomastico della principessa Maria Hermenegild, alla quale il musicista era particolarmente affezionato, la Missa in angustijs, detta anche Nelsonmesse, fu concepita originariamente per un organico limitato, nei fiati, a un fagotto e a tre trombe; solo in un secondo momento esso venne integrato dagli altri strumenti che costituiscono l’assetto dell’orchestra classica (furono cioè aggiunti, più tardi, non sappiamo se da Haydn stesso, un flauto, i due oboi, i due clarinetti, e i due consueti corni). Già il rilievo attribuito alle trombe, addirittura tre e originariamente solitarie nella compagine degli archi, spiega i titoli della messa, in relazione alle vicende belliche del momento. Mentre Haydn scriveva la messa (10 luglio -31 agosto 1798), l’ammiraglio Nelson sconfiggeva la flotta francese nelle acque di Abukir in Egitto; l’opera restò dunque associata al nome del grande comandante inglese. Nel 1800, visitando Eisenstadt in compagnia di Lady Hamilton, che era tra l’altro una discreta cantante, Nelson non mancò di incontrare il musicista, scambiando il suo orologio con la penna di Haydn. Le trombe squillano risplendenti alla fine del Benedictus che viene ad assumere un carattere drammatico impressionante, mentre nelle altre messe il compositore preferisce distendere questa parte in un andamento lirico o quanto meno sereno. Il Kyrie (Allegro moderato), al pari di quello della Harmoniemesse, si presenta in un’unica sezione, anziché diviso in due come nelle altre messe, dove, analogamente al primo movimento della sinfonia haydniana, è costituito da un allegro preceduto da un lento introduttivo. Le altre parti della messa rispondono ai consueti schemi di Haydn: cioè il Gloria si articola in sezioni di Allegro in re magg. interrotte da un Adagio (“Qui tollis”) in si bem. magg. e suggellate da un fugato (“In gloria Dei”); nel Credo, in cui è fatto un uso eccezionale del canone, un Largo centrale (“Et incarnatus”) in sol magg. divide un Allegro con spirito e un Vivace in re magg.; il Sanctus, pure in re magg., è un Adagio relativamente breve; l’Agnus Dei consiste in un Adagio in sol magg. e in un Vivace (“Dona nobis”) in re magg. La prima esecuzione della Missa in angustijs ebbe probabilmente luogo ad Eisenstadt il 23 settembre dello stesso 1798.
Joseph Haydn: Te Deum per la Imperatrice Marie Therese in do magg. Hob. XXIIIc:2 (10 Min.) Joseph Haydn mise in musica il Te Deum una prima volta nel 1765. Intorno al 1799 scrisse il secondo Te Deum per l’imperatrice Maria Teresa, che fu eseguito per la prima volta a Eisenstadt l’8 settembre 1800. L’affinità stilistica tra le due composizioni, che sono state scritte a più di tre decenni di distanza, è notevole. In comune non hanno solamente la tonalità di do maggiore e l’impiego del coro a quattro parti quali principali mezzi di espressione. La prima versione e quella più tarda coincidono anche nei dettagli della struttura. In Te ergo quaesumus, l’energico Allegro introduttivo è seguito da un Adagio, sostituito nuovamente da un Allegro all’Aeterna fac. Verso la fine di entrambe le composizioni si impone la stessa idea: al tema In te Domine speravi si contrappone immediatamente il Non confundar in aeternum. Oltre a queste caratteristiche comuni, tuttavia, si possono anche notare delle differenze. Il secondo Te Deum è più semplice, più chiaro e più potente nella condotta delle sue linee rispetto alla prima versione. Fa a meno delle parti soliste così importanti nella composizione giovanile e allarga in misura considerevole l’organico dell’orchestra. La sua forza espressiva è accentuata dall’introduzione della melodia gregoriana del Te Deum nelle voci centrali. “Il suo conciso, compatto impianto e la sua incisività musicale, lo collocano tra le creazioni più significative del tardo Haydn”. (Geringer) Sebbene Haydn segua nella sua seconda versione la linea delle sue ultime messe, riprende anche elementi della tradizione specifica del Te Deum (l’uso del canto gregoriano, piccoli segmenti declamati, l’impiego dei cori spezzati). Così usa parti del tono salmodico gregoriano e le rende perfettamente riconoscibili attraverso inserti all’unisono. C’è anche almeno un accenno alla pratica dei cori battenti: ci sono molte ripetizioni testuali che ricordano quindi l’antica pratica dell’alternatim (la recita alternata). Un tale effetto è ottenuto in alcuni punti anche mediante il ricorso alla suddivisone della condotta corale in voci femminili e voci maschili. La composizione è divisa in tre parti: due movimenti Allegro in do maggiore ampi ma condotti in uno stile stringato incorniciano la breve sezione centrale Adagio in do minore. Il brano è semplice, chiaro e incisivo, ma l’interpretazione del testo, la struttura motivica e alcuni dettagli strutturali sono abbastanza all’altezza dell’arte di Haydn. “In particolare la grandiosa doppia fuga, che intreccia indissolubilmente anche in modo simbolico due righe del testo e alla fine sfocia in una potente stasi sincopata che viene sciolta drammaticamente, è uno dei grandi momenti della musica del tardo XVIII secolo“. (Harenberg) |
Joseph Haydn: Missa in angustiis in d-Moll. Hob. XXII: 11 (Nelson-Messe)
Haydn hat die Nelson-Messe, wie er im Autograph vermerkt hat, am 10. Juli 1798 begonnen und bereits am 31. August 1798 fertiggestellt. Um die Titel „Missa in angustiis“ und die schon sehr früh gängige Bezeichnung „Nelson Messe“ ranken sich diverse Legenden. Allgemein wird Haydns „in angustiis“ [„in Bedränqnis“] auf die fortdauernden Kriegshandlungen bezogen, die mit Napoleons Ägypten-Feldzug im Sommer 1798 einen neuen Höhepunkt erreichten. Wesentlich prosaischer, aber ebenfalls denkbar ist, dass der Komponist eine Krankheit, die ihn damals ans Haus fesselte, oder einfach den Zeitdruck bei der Arbeit meinte. Der populäre Titel „Nelsonmesse“ bezieht sich auf den englischen Feldherrn Admiral Nelson, der Napoleon Anfang August 1798 bei Abukir eine empfindliche Niederlage zufügte. Die an sich recht plausibel erscheinende Geschichte, dass Haydn während der Arbeit am „Benedictus“ von diesem Sieg erfahren und mit den triumphalen Fanfaren auf das Ereignis reagiert habe, muss allerdings ins Reich der Anekdote verwiesen werden. Eine konkretere Verbindung zwischen der Messe und Admiral Nelson ergibt sich durch den Österreich-Besuch des englischen Feldherrn im Jahr 1800. Nelson und Lady Harnilton weilten damals auch einige Tage in Eisenstadt, wo sie mit Haydn zusammentrafen. Im Rahmen des Besuchs wurde zu Ehren des Feldherrn die Messe aufgeführt. Zur Musik. Wenn auch der heroische Ton, der wuchtige und kraftvolle Charakter der „Missa in angustiis“ unverkennbar ist, so darf sie doch keinesfalls als musikalisches Schlachtgemälde (solche wurden damals, auch zu Nelsons Sieg bei Abukir, durchaus komponiert), noch weniger als Charakterbild Nelsons missgedeutet werden – wie es mehrfach in der Rezeptionsgeschichte geschehen ist. Die kriegerischen Töne (Fanfaren) sind bei weitem nicht vorherrschend und beschränken sich fast allein auf „Kyrie“ und „Benedictus“, Kennzeichnendes Merkmal der Messe ist vielmehr ihr dramatischer Ernst und ihre gestalterische Dichte, die nirgendwo jene vermeintlich unangemessene haydnsche Heiterkeit entfaltet. Ungewöhnlich schon die Wahl der Tonart d-Moll, deren düster-unerbittliche Farbe allerdings stark kontrastiert wird durch ausgesprochen helle, leuchtende D-Dur-Sätze („Sanctus“, „Gloria“). Die dramatische Formung wird bewerkstelligt durch kleingliedrige Wechsel und das Ineinandergreifen von Solo- und Chorpartien, die in ganz unterschiedlicher Art und Funktion die Satztechnik bestimmen: im „Kyrie“ als Gegensatz von lapidaren Chor-Einwürfen und der wie ein verzweifelter Aufschrei wirkenden Sopran-Koloratur, zu Beginn des „Gloria“ als festlicher Solo- Tutti-Wechsel. Im „Qui tollis“ ist das Modell in neuartiger Weise gehandhabt, der Chor betet in murmelnder Deklamation dem strömenden Melos des Bass-Solos nach. Wieder eine andere Struktur bringt das „Incarnatus“ des „Credo“, hier greift der Chor wiederholend das Sopran-Thema auf, um es bei „Crucifixus“ immer schmerzlicher umzudeuten. Auch in der motivischen Arbeit, im Einsatz der Klangfarben und in weiteren feinen Details ist jeder Satz von hoher Originalität: Z.B. beginnt das „Credo“ mit einem streng durchgeführten Kanon in der Quinte über eine gregorianisch anmutende Melodie, dagegen ist der Schluss „et vitam venturi“ nicht traditionell als Fuge, sondern, dramatisch effektvoll inszeniert, als Sopran-Solo mit knappem homophonem Chorsatz gebaut. Das „Benedictus“ hat seit jeher die größte Berühmtheit erreicht. Zuerst ist es ein sich gemessen entfaltender d-Moll-Satz mit dem für die Messe insgesamt typischen Wechsel von Soli und Chor. Doch plötzlich bricht die Musik ab, und nach einer Generalpause stößt ein B-Dur-Tuttiakkord im Fortissimo in den Satz hinein: Der Chor wiederholt den Text in einer mächtigen Linie, flankiert von triolischen Fanfaren in allen Instrumenten – „die kühnste und kraftvollste Musik im Schaffen Haydns“ (H. C. Robbins Landon). Es ist verständlich, dass die Zeitgenossen Haydns hier den militärischen Sieg über Napoleon assoziierten, die Absicht des Komponisten dürfte aber wohl eher in den theologischen Bildtraditionen des triumphierenden Christus zu suchen, also ganz sakraler Natur sein. Bis heute ist die „Nelsonmesse“ die wohl beliebteste unter Haydns Messen. Auch traf sie nie der Vorwurf der mangelnden kirchlichen Würde. Joseph Haydn: Te Deum für die Kaiserin Marie Therese C-Dur Joseph Haydn vertonte das Te Deum zum ersten Mal vor 1765. Um 1799 schrieb er für Kaiserin Marie Therese das zweite Te Deum, das am 8. September 1800 in Eisenstadt erstmals aufgeführt wurde. Bemerkenswert ist die stilistische Verwandtschaft der beiden, mehr als drei Jahrzehnte auseinanderliegenden Kompositionen. Nicht nur die Tonart C-Dur und die Verwendung des vierstimmigen Chores als Hauptausdrucksmittel sind ihnen gemeinsam. Auch in Einzelheiten der Gestaltung stimmen das Früh- und das Spätwerk überein. Dem kräftig einsetzenden Allegro folgt bei Te ergo quaesumus ein Adagio, das bei Aeterna fac wieder durch ein Allegro abgelöst wird. Ebenso kommt gegen Schluss beider Kompositionen der gleiche Gedanke zum Ausdruck: Dem Thema In te Domine speravi ist als Gegensatz das Non confundar in aeternum unmittelbar beigegeben. Neben diesen gemeinsamen Zügen sind aber auch Unterschiede auszumachen. Das zweite Te Deum ist einfacher, klarer und in der Linienführung kraftvoller als das erste Werk. Es verzichtet auf die in der Jugendkomposition so bedeutungsvollen Solostimmen und vergrößert das Orchester in bedeutendem Maß. Seine Ausdruckskraft wird durch die Einführung der gregorianischen Te Deum-Melodie in den Mittelstimmen erhöht. »In seiner knappen, gedrungenen Anlage und seiner markanten Tonsprache zählt es zu den bedeutsamsten Schöpfungen des späten Haydns.« (Geringer) Obgleich Haydn in seinem zweiten Werk ganz der Linie seiner späten Messen folgt, greift er doch auch Elemente der spezifischen Te Deum-Tradition (Verwendung des gregorianischen Chorals, kleingliedrige Deklamation, wechselchöriges Musizieren) auf. So verwendet er Teile des gregorianischen Psalmtons und macht sie auch durch Unisono-Einsatz durchaus kenntlich. Auch die Wechselchörigkeit ist zumindest angedeutet: Viele Textstellen erscheinen wiederholt und erinnern so an die alte Alternatim-Praxis (wechselweiser Vortrag). Ausserdem erzielt er stellenweise auch durch die Teilung des Chorsatzes in Frauen- und Männerstimmen eine solche Wirkung. Die Komposition ist dreiteilig angelegt: Zwei großzügige, aber dennoch knapp geführte Allegro-Sätze in C-Dur rahmen den kurzen Adagio-Mittelteil in c-Moll ein. Das Werk ist einfach, klar und markant, aber in der Textdeutung, der motivischen Anlage und manchen strukturellen Details ganz auf der Höhe der Haydnschen Kunst. »Besonders die großartige Doppelfuge, die auch symbolisch zwei Textzeilen untrennbar miteinander verknüpft und am Schluss in eine gewaltige synkopische Stauung mündet, die dramatisch aufgelöst wird, ist einer der großen Momente in der Musik des späten 18. Jahrhunderts.« (Harenberg) |
L’ensemble vocale “VocalArt” è stato fondato nel 1991 da alcuni insegnanti di musica sotto la direzione artistica di Heinrich Walder, direttore della Cappella del Duomo di Bressanone. Fin dall’inizio, l’ ensemble ha coltivato la musica del coro esigente dal Rinascimento all’età moderna. Con le sue intense attività concertistiche e la partecipazione a vari festival come “Brixner Initiative Musik und Kirche”, “Festival Musica Sacra” o “Laudamus”, l’ensemble ha entusiasmato il pubblico in patria e all’estero. Il suo repertorio comprende opere di polifonia vocale, musica corale barocca e contemporanea, musica classica e romantica, nonché anteprime mondiali con partner musicali in evoluzione.
L’ensemble ha celebrato i suoi più grandi successi con un 2 ° posto al Concorso corale “Guido d’Arezzo” nel 1998 e il 1 ° premio al Concorso corale “Spittal an der Drau” nel 2006. Dalla primavera 2016 Marian Polin dal Val Venosta ha assunto la direzione artistica. |
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Marian Polin è nato nel 1990 ed è cresciuto a Malles in Val Venosta. Ha studiato organo e musica sacra cattolica all’Università della Musica e delle Arti dello Spettacolo di Vienna, conseguendo il master con lode. Ha proseguito gli studi di organo alla Anton-Bruckner-Privatuniversität di Linz. Tra gli insegnanti che più lo hanno influenzato vanno annoverati Pier Damiano Peretti, Brett Leighton, Wolfgang Glüxam e Erwin Ortner. Ha frequentato masterclasses con L. F. Tagliavini, T. Koopman, M. Radulescu, L. Ghielmi e altri, è stato finalista al Concorso Paul Hofhaimer di Innsbruck nel 2016 vincendo il 3° premio al Grand Prix ECHO di Treviso nel 2018.
Dal 2014 al 2016 Marian Polin è stato direttore del coro della cattedrale di Chur/Coira in Svizzera, in seguito è stato assunto nella Chiesa dei Gesuiti annessa all’Università di Innsbruck, in qualità di direttore della “Capella Claudiana”. Come direttore di ensemble corali lavora regolarmente con “VocalArt” Brixen e con il Coro da Camera Marienberg; è anche membro degli ensemble “Rosarum Flores”, “Labirinti armonici”, “Marini Consort Innsbruck”. Nel 2017 Polin è stato assistente ai Corsi di perfezionamento nella sezione “mottetti” della XVII edizione di “Urbino Musica Antica”. Come solista (organo, clavicembalo) e come direttore di ensemble si è finora esibito in Italia, Austria, Germania, Spagna e Svizzera. Discografia: Mottetti solistici di Vigilius Blasius Faitelli (Tiroler Barockinstrumentalisten/Musikmuseum 2016), “Sonate/Opera II” di Francesco Antonio Bonporti (“Labirinti armonici”/Brilliant, 2018), Opere sacre di Giovanni Legrenzi dell’archivio musicale del monastero di Marienberg (“Capella Claudiana”/Musikmuseum 2018).
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Marian Polin wurde 1990 geboren und wuchs in Mals im Vinschgau auf. Er studierte an der Universität für Musik und darstellende Kunst Wien die Studiengänge Konzertfach Orgel und Katholische Kirchenmusik; Master mit Auszeichnung. Weiterführende Orgelstudien führten ihn an die Anton-Bruckner-Privatuniversität Linz. Zu den prägendsten Lehrern seiner Musikausbildung zählen Pier Damiano Peretti, Brett Leighton, Wolfgang Glüxam und Erwin Ortner. Er besuchte Masterclasses u.a. bei L. F. Tagliavini, T. Koopman, M. Radulescu, L. Ghielmi u.a., war 2016 Finalist des Paul-Hofhaimer-Wettbewerbs in Innsbruck und errang den 3. Preis beim ECHO-Grand-Prix in Treviso 2018.
Von 2014 bis 2016 war Marian Polin als Dirigent des Domchors an der Kathedrale Chur/Schweiz tätig, bis er 2016 als Kirchenmusiker an die Jesuitenkirche/Universitätskirche Innsbruck bestellt wurde, wo ihm u.a. die Leitung der „Capella Claudiana“ obliegt. Als Ensembleleiter arbeitet er regelmäßig mit „VocalArt“ Brixen und dem Kammerchor Marienberg; als Ensemblepartner weiters mit „Rosarum Flores“, „Labirinti armonici“, „Marini Consort Innsbruck“. 2017 war Polin Assistent für Motettengesang des XVII. bei den Masterclasses „Urbino Musica Antica“. Engagements als Solist (Orgel, Cembalo) oder Ensembleleiter führten ihn bisher nach Italien, Österreich, Deutschland, Spanien und in die Schweiz. Diskographie: Solomotetten von Vigilius Blasius Faitelli (Tiroler Barockinstrumentalisten/Musikmuseum 2016), „Sonate/Opera II“ von Francesco Antonio Bonporti („Labirinti armonici“/Brilliant, 2018), Sakralwerke von Giovanni Legrenzi aus dem Musikarchiv des Klosters Marienberg („Capella Claudiana“/Musikmuseum 2018).
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