festival

Stabat Mater

→ PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA (Solo per Tione)

Sabato, 31 luglio, Tione, Chiesa parrocchiale, ore 20.30
Domenica 1 agosto, Folgaria, Maso Spilzi, ore 21.00

STABAT MATER

Preludio all’organo (solo Tione)
Tiziano Armani, organo

Irene Bottura, soprano
Ezio Salvaterra, controtenore
Quintetto giovanile residente “Archi d’Orfeo”
Tommaso Santini, violino primo
Sara Molinari, violino secondo
Giorgia Lenzo, viola
Jacopo Gianesini, violoncello
Mauro Tomedi, contrabbasso
Annely Zeni, clavicembalo
Chiara Turrini, voce recitante
Alessandro Arnoldo, direttore

Programma:

Antonio Maria Fracchetti (1991): Suite Sacra per violino, clavicembalo e voce recitante

Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736): Stabat Mater per soprano, contralto, archi e basso continuo

Stabat mater – Cuius animam – O quam tristis – Quae maerebat – Quis est homo -Vidit suum dulcem natum – Eja mater -Fac, ut ardeat cor meum – Sancta Mater – Fac ut portem – Inflammatus ed accensus -Quando corpus morietur – Amen

 

In collaborazione con
Scuola Musicale Giudicarie,
Comune di Folgaria,
Itinerari Organistici Tridentini

 

Note al programma

Richiama o Signore
Il vento e le nubi.
E sgombraci il cuore dal tormento

Poiché peccammo
Sommersi nelle tenebre
Della nostra superbia

Marco Pola (Roncegno 1906- Trento 1991)

La collaborazione tra il compositore Antonio Maria Fracchetti ed il Trio Anyma Chiara (voce recitante, violino, clavicembalo) avviata nel 2017 con l’intenzione di produrre una forma particolare di reading che accostasse i versi alla musica contemporanea, ha incontrato in poeti come Nedda Falzolgher e Marco Pola una intensa dimensione spirituale legata al cristianesimo, sino all’ emozione-commozione della vera e propria preghiera. Di qui l’idea, per festeggiare il 50mo del Festival regionale di Musica Sacra, di costruire questa Suite sacra, che, partendo dai materiali musicali già realizzati da Fracchetti, si estendesse ad accogliere altre voci di poeti trentini che avessero “pregato” con i loro versi. La ricerca, effettuata da Chiara Turrini, ha individuato attenzioni più che cospicue, non solo laddove più attese, come nel caso di Don Mario Bebber, ma in molti altri autori, segno di un rapporto direttamente proporzionale tra sensibilità poetica e sentimento del sacro. Così, dal nucleo Pola-Falzolgher, la partitura ha accolto le voci-suoni (in italiano ma anche in dialetto) di Don Mario,  di Umberto Cattani e Anna Maria Cielo, costruendo appunto una suite, una raccolta di versi e note, dove la musica non vuole essere descrittiva del testo, ma piuttosto allusiva, lasciandone intendere il carattere, talora accesamente appassionato, talaltra malinconico, pur sempre fiducioso nella presenza di un Altro oltre l’esistenza del puramente umano. Giovanni Battista Pergolesi compose il suo Stabat Mater, una delle pagine più sublimi di tutta la storia della musica sacra, solo qualche mese prima della sua morte. Il compositore di Jesi, destinato a morire a soli ventisei anni di tubercolosi, scrisse velocemente questo capolavoro dopo aver ricevuto nel 1735 l’incarico da parte di una confraternita laica napoletana, quella dei Cavalieri della Vergine dei Dolori di San Luigi al Palazzo, che l’avrebbero utilizzato durante la liturgia della Settimana santa. Chiuso nella sua celletta nel convento dei frati cappuccini di Pozzuoli, compose febbrilmente le pagine del manoscritto e, come nel caso di Mozart, questa condizione di sofferenza  gli diede modo di elaborare una pagina struggente, che tratteggia il dolore più terribile che un essere umano possa provare, quello di una madre che assiste alla morte del proprio figlio. Pergolesi, immedesimandosi in quel dolore vissuto e provato attraverso la propria sofferenza fisica, riuscì a manifestarlo in modo squisitamente “sentimentale”, facendo sì che la musica e le parole potessero tratteggiare di volta in volta la disperazione, la tenerezza, il senso di protezione materna che la Madonna, sotto la croce, provava per quel figlio che aveva saputo di perdere fin dall’inizio. Con il suo Stabat Mater, costruito su dodici numeri, il compositore, pur rispettando l’impianto strutturale del tempo, che prevedeva l’uso dei soli archi con il basso continuo e la presenza delle voci del soprano e del contralto, che si alternavano nella serie di duetti e arie solistiche, tende ad alleggerire questa alternanza, spostando la rappresentazione su un piano teatrale, nel quale mostrare i sentimenti dell’uomo e non solo la manifestazione della dimensione divina, applicando, forse tra i primi, quella figura retorica al centro di buona parte della musica barocca, descritta nella cosiddetta “teoria degli affetti”.

Alessandro Arnoldo